Mamma, il primo amore

Domani  è uno di quei giorni delle feste comandate, una delle tante che nei 365 giorni che compongono l’anno dobbiamo vivere. Dopo quelle religiose è la volta di quelle laiche, molte create ad arte dai pubblicitari per far danè, come dicono gli amici di Milano. E così dopo quella della donna e del papà domani sarà il turno di un’altra. Magari l’anno prossimo ne inventeranno altre nuove: quella del ragioniere, del macrobiotico oppure del sarchiapone. In fondo viviamo in un reality: il regista ci dà il ciak e noi giriamo la scena della festività con il finto amico o con la finta moglie, magari con il telefonino in mano a scattarci un selfie che può sempre servire anche solo per condividerlo con gli amici virtuali di Facebook e mentre lo facciamo non siamo più neanche così certi che il cane che amiamo sia davvero nostro oppure è anche lui un attore che ha girato diversi sketch con il protagonista famoso del mulino allegro.

Mi sono spesso domandato se esistessero parole più importanti di altre, le ho cercate nel prestigioso vocabolario treccani e in quelli più pratici ed ho scoperto che le parole più importanti non sono quelle che hanno più significato piuttosto quelle che conservano lo stesso significato, ma hanno diversi modi di essere dette. Tra queste ce n’è una straordinaria, bellissima, che messa sull’ ottovolante dei nostri regionalismi  plana dalla Sicilia alla Sardegna,  dalla Campania alla Toscana fino al Friuli, cambiando il colore nell’accento o nella pronuncia, ma mantenendo lo stesso significato: la parola è mamma. Così ho capito che le parole diventano importanti quando sentiamo il bisogno di farle nostre, di metterci un qualcosa di familiare.

Io sono cresciuto a 150 chilometri da á ma’ e a soli 90 da mammà, ma comunque la dici questa parola assume un qualcosa di speciale. Qualcosa che ti porta indietro con la mente, magari a un bacio sulla guancia con la cartella in mano prima di uscire di casa, al profumo della cena mentre facevi i compiti oppure alle carezze quando avevi la febbre. Non si smette mai di essere madre e i figli non smettono mai di averne bisogno. Anche oggi, magari da lontano, nei nostri impegni del quotidiano così per salutarti, per chiederti se hai mangiato oppure nel ricordarti di metterti il cappotto quando fa freddo e di fare attenzione alle sudate in estate. E lo fa anche se hai 50 o 60 anni e così, mentre gli affanni del vivere abbassano di una spanna il cielo della bellezza, lei è lì come i suoi ricordi a scaldarti il cuore, come quando eri piccolo e fuori era freddo e veniva senza motivo a rimboccarti le coperte così all’improvviso…quando meno te lo aspetti

Auguri a tutte voi da parte mia!

Luca Oliver

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